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DALLA NOTTE FONDA - SPUNTA IL MATTINO: Franz Wohlfahrt sopravvissuto al Terrore Nazista


DALLA NOTTE FONDA
SPUNTA IL MATTINO


“Se non si può ricordare il passato si è condannati a ripeterlo”.
George Santayana, filosofo americano di origine ispanica (in La vita della ragione).


Libro Notte
"Sii saggio, figlio mio, e rallegra il mio cuore, affinché io possa rispondere a chi mi biasima"
Il Creatore dell'Universo e dell'uomo: YeHoWaH (in Prov. 27:11)


Formato 15 x 21 - pag. 368 - €. 10,00


RETROCOPERTINA

Il Sopravissuto:Franz Wohlfahrt Franz Wohlfahrt è nato il 18 gennaio 1920, condannato a cinque anni di prigione il 29 maggio 1940 per obiezione di coscienza al servizio militare. Dall'aprile 1940 fino al gennaio 1941 fu detenuto in varie prigioni, dal gennaio 1941 al 24 marzo 1945 nel campo di concentramento nazista di Rollwald in Germania.
Suo padre Gregor fu decapitato il 7 dicembre 1939 a Berlino-Plötzensee, suo fratello Gregor giustiziato il 14 marzo 1942 a Brandeburgo. Tutti e due come obiettori di coscienza al servizio militare.
I suoi fratelli Ida, Anna, Kristian e Willibald furono sottratti alla madre Barbara e messi in istituti di rieducazione nazisti o al servizio di famiglie naziste.
La foto di Franz Wohlfahrt è stata fatta durante un'intervista in occasione del progetto Holocaust Memorial Museum a Washington D. C. il 7 dicembre 1989, a 50 anni esatti dall'esecuzione capitale di suo padre.

Prof.Peter Gstettner


L'Accademico: “Un uomo narra una storia, la sua. Una donna l'ascolta e la scrive, coinvolta emotivamente nella sorte del narratore. Che cosa c'è di notevole nel fatto che la storia sia messa in un libro?

Franz Wohlfahrt racconta un pezzo di storia taciuta, una storia che ha condiviso con un gruppo relativamente piccolo di compagni di fede e di sofferenza. Si tratta dei Testimoni di Geova della Carinzia, perseguitati crudelmente, torturati e messi a morte dai nazisti. La loro sorte è stata ignorata per 50 anni dalla ricerca storica.” Prof. Peter Gstettner


Lieselotte Wöhlbitsch

L'Autrice: Lieselotte Wölbitsch, è nata a Innsbruck nel 1964. I 4 anni vissuti negli USA e gli studi di giornalismo alla Mercer University ad Atlanta in Georgia le hanno lasciato profonde impressioni. In seguito ha assunto la gestione commerciale di un ente turistico nel Tirolo. Dal 1995 vive nella Carinzia.

PROLOGO ALL’EDIZIONE ITALIANA

Olocausto, Shoah: sono trascorsi tre quarti di secolo da allora. Di conseguenza ci chiediamo: ha significato, oggi, parlare ancora di Olocausto? Di che utilità può essere “la memoria” di un avvenimento che, seppur tragico, sembra non appartenere più al nostro tempo? Inoltre, che interesse potrebbe avere un editore che decide di riproporre ai suoi lettori storie come quella di questo libro che abbiamo accettato volentieri di pubblicare, ma che appartengono ad un filone trito e ritrito di cui si pensa di sapere ormai tutto? Domande subdole, se non capziose che sembrano volere provocare o essere le considerazioni di un revisionista che non sa di essere tale.

Se devo imitare il filosofo danese Soren Kierkegaard e rivolgermi al “mio lettore”, voglio rassicurarlo che come editore non solo penso che oggi abbia ancora valore e significato parlare di Olocausto. Per le ragioni che esporrò più avanti, quella che sull’Olocausto è considerata, semplicisticamente, storia trita e ritrita, conosciuta e superata, a mio avviso è ben lontana dall’essere compiutamente conosciuta e può sembrare inverosimile, proprio nei particolari macroscopici. Particolari che riguardano per esempio, il reale numero delle vittime, o il considerevole numero di siti geografici che in quella storia furono impli-cati.

A tal proposito il britannico The Indipendent del 3 marzo 2013, titolava:

"Has Holocaust history just been rewritten? Astoni-shing new research shows Nazi camp network targeting Jews was 'twice as big as previously thought" osservando che: «La rete di campi e ghetti creati dai nazisti per mettere in atto l'Olocausto e perseguitare milioni di vittime in tutta Europa, era molto più grande e sistematica di quanto si potesse credere, secondo una nuova ricerca accademica».

Il New York Times, da canto suo, affermava: «The Holocaust Just Got More Shocking»

La notizia ripresa dai media di tutto il mondo1 e da tutti i più importanti quotidiani e reti televisive italiane, annunciava una storia sull’Olocausto che molto probabilmente era tutta da riscrivere secondo una qualificata ricerca condotta da studiosi dell’United States Holocaust Memorial Museum di Washington. Gli studiosi di quello che è ritenuto, insieme a quello di Yad Vashem, uno dei musei più importanti del mondo, grazie all'aiuto di centinaia di collaboratori, hanno ricercato le prove in tutta Europa di quella che fu la reale portata dell'Olocausto, con la previsione che il loro studio si concluderà fra un anno, ovvero nel 2015. La ricerca parte da basi scioccanti. Solo 6.000.000 gli ebrei uccisi? Magari! Potrebbe essere l’amara e purtroppo cinica risposta.

Gli studiosi dell’USHMM valutano in 15-20 milioni il probabile numero delle vittime e in più di 42.000 i siti geografici che furono implicati in un modo o in un altro nell’Olocausto. Cifre da capogiro2, cifre che, se confermate, riscriverebbero davvero la storia. Cifre che, se provate, rappresenteranno un ulteriore ed inequivocabile capo di accusa per coloro che si sono giustificati con l’indifferente ed ipocrita “non sapevo”.

Una storia quindi tutta ancora da riscrivere e sapere, conoscere profondamente per poter tentare di capire come mai nel secolo dei genocidi, il più grande ed il più efferato riservi ancora amare sorprese. L’Olocausto in cui si consumarono i drammi di milioni di uomini e di intere famiglie è consistito in un dramma che culminò nel loro annientamento in ambienti volutamente disumanizzati da parte di criminali seriali quali furono i nazisti, un dramma la cui portata probabilmente è sottovalutata e misconosciuta anche dalla storia ufficiale.

Ha significato quindi parlare ancora di Olocausto? Come editore rispondo assolutamente di sì! Pensiamo ai molti sopravissuti che subirono quel dramma; che siano essi ancora vivi, oppure no, molti di loro hanno raccontato come sono usciti vivi da un luogo di morte. Stiamo parlando quindi di storia contemporanea, storia che mi appartiene ed appartiene a tutti noi “testimoni di seconda mano” più prossimi agli avvenimenti che portarono molti innocenti nei lager.

Storia che non possiamo ignorare, e verso cui non possiamo rimanere indifferenti, non avendo nessuna garanzia che non possa riproporsi di nuovo, partendo proprio dalla constatazione che, da quel dramma feroce e tracotante svoltosi sul palcoscenico europeo, il genere umano non ne ha tratto profitto né ha imparato alcunché.

L’evidenza del ripetersi di identici e feroci genocidi perpetuati fino ai nostri giorni, con sinistre somiglianze a quello che fu l'Olocausto degli olocausti europei, ha oggi una nuova evidenza. È stato esportato anche in altri continenti, il che non è proprio un buon segnale. Basti pensare, ma la lista sarebbe ben più lunga, all’asiatica Cambogia di Pol Pot (1975-1979), dove anziani, donne e bambini, furono facili vittime del genocidio di un milione e mezzo di persone. O all’africano Ruanda (1994), dove furono massacrati senza nessuna pietà oltre un milione di persone, a colpi di bastoni chiodati, machete ed armi da fuoco.

Conoscere l’Olocausto, penso sia il dovere di ogni essere umano riflessivo e moralmente sensibile. Personalmente penso che la preoccupazione espressa nel libro di Davide Bidussa “Dopo l’ultimo testimone”, dove l’autore, indagando sulla retorica della memoria pubblica, paventa fondatamente che tra pochi anni non ci saranno più testimoni oculari a raccontarci di aver visto con i propri occhi l'orrore dei massacri, dovrebbe farci seriamente riflettere.

Conoscere l’Olocausto e ritenerne la sua memoria, per misurarne anche il grado di ferocia di popoli che direttamente o indirettamente furono responsabili dell’eccidio dei propri simili, è importante anche per constatare obiettivamente quanto fallimentare possa essere in pratica una evoluzione culturale che ahimè, non viaggia di pari passo con quella etica. No, mio caro lettore, non ci fu nessuna garanzia di un’etica giusta tedesca nella patria di Kant, Hegel, Fichte, Schelling, Nietzsche, Schopenhauer, Heidegger e Jaspers, nessuna in quella che era stata la patria di Bach e Wagner e nessuna nella terra che dette i natali a Goethe.

Decenni prima dell’Olocausto il poeta tedesco Heine aveva sentenziato: ”Dovunque si bruciano i libri, si finisce per bruciare anche gli uomini”. Aveva ragione e fu proprio la sua nazione che avrebbe sperimentato decenni dopo quella sua sentenza in una escalation che iniziò con l'intolleranza, proseguì con la persecuzione, quindi continuò con l'internamento che si concluse infine con l'annientamento nelle camere a gas. Un’escalation che dimostrò l’applicazione di un’etica senza Dio, anche se secondo alcuni l’”etica“ applicata fu quella di un altro dio, ispiratore e grande burattinaio di quell'eccidio planetario.

Al Memoriale della Shoah della Stazione Centrale di Milano, capeggia una scritta a caratteri cubitali: INDIFFERENZA. Liliana Segre3 una delle bambine ebree de-portare dal famigerato binario 21 e sopravissute al campo di sterminio di Auschwitz, spiega nelle sue conferenze che fu proprio l’indifferenza a poter favorire la Shoah, l’indifferenza di chi non voleva né capire né sapere né impicciarsi, di chi chiudeva le finestre mentre i camion carichi di ebrei e di deportati politici passavano nella civilissima e colta città di Milano degli anni ‘40, per portare la propria “merce” al triste e noto binario 21, con destinazione Auschwitz o Matahuesen.

L’indifferente potrebbe essere in ognuno di noi; è indifferente, a mio avviso, anche chi rifiuta di conoscere, chi non desidera sapere ed approfondire il genocidio di milioni di persone, nostri simili. È indifferente chiunque consideri quasi normale l'avvenimento più anormale di tutti i secoli dei secoli. La memoria da conservare, e anzi da ampliare sull'Olocausto, dovrebbe essere l'imperativo di ogni essere civile.

Non furono solo gli ebrei ed i politici gli unici ad essere deportati ed internati nei campi di concentramento e di sterminio. Ci furono altre categorie, delle quali solo recentemente l'opinione pubblica mondiale si è occupata, grazie anche al contributo prezioso di ricerche e convegni svolti da musei, come l’USHMM. Queste categorie includevano i Rom, gli slavi, prigionieri di guerra russi, e poi ariani, tedeschi omosessuali e tedeschi Testimoni di Geova, l'unica confessione religiosa ad essere di fatto perseguitata. L'unica confessione religiosa che si rifiutò di fare il saluto nazista e di impugnare le armi. Una delle tantissime testimonianze sul loro comportamento nei campi è stato quello di Anna Pawelczynska, sociologa polacca so-pravvissuta ad Auschwitz, che affermò:

"Raffrontato all'immensa comunità di Auschwitz, i testimoni di Geova formavano solo un piccolo gruppetto poco appariscente [...] Ciò nondimeno, il colore [viola] del loro distintivo triangolare spiccava così nettamente nel campo che il piccolo numero non rispecchiava la forza effettiva di quel gruppo. Questo gruppo di detenuti costituiva una salda forza ideologica ed essi vinsero la loro battaglia contro il nazismo. Il gruppo tedesco della setta era stato una minuscola isola d'instancabile resistenza in seno a una nazione terrorizzata, e continuarono ad avere quello stesso spirito impavido nel campo di Auschwitz. Essi riuscirono a guadagnarsi il rispetto dei compagni di prigionia [...], dei kapò e persino degli ufficiali delle SS. Tutti sapevano che nessun 'Bibelforscher' (testimone di Geova) avrebbe ubbidito a un ordine contrario alla sua fede e alle sue convinzioni religiose, o compiuto alcuna azione contro qualche altra persona, anche se quella persona fosse stata un assassino o un ufficiale delle SS. D'altra parte egli avrebbe svolto qualsiasi altro compito, anche il più umiliante, secondo il meglio delle sue capacità, se per lui era moralmente neutrale. I detenuti politici lottavano attivamente nel campo, organizzando la resistenza e combattendo per la sopravvivenza dei compagni di prigionia. I testimoni di Geova impegnavano una resi-stenza passiva per la loro fede, che si opponeva a ogni guerra e violenza".4

Hitler in persona promise di farla pagare cara ai Testimoni di Geova tedeschi: “Diese Brut wird aus Deutschland ausgerotten werden!” ovvero: ”Questa genia sarà sterminata dalla Germania!”5 Evidentemente Hitler non mantenne la promessa, visto che nella Germania di oggi ci sono 164.885 proclamatori attivi (secondo l’an-nuario del 2013) Testimoni di Geova. Nonostante tutto, migliaia di Testimoni furono imprigionati in campi di concentramento di mezza Europa. (Da Auschwitz a Mauthausen, da Ravensbrück a Sachsenhausenm, da Dachau a Bergen-Belsen, da Moringen a Wewelsburg), migliaia di loro morirono nei campi, e migliaia furono condannati a morte per la loro ferrea neutralità, nonostante fosse l'unica categoria di internati a poter tornare in libertà, se solo avesse sottoscritto un foglio di abiura, cosa che non fecero.

Il libro che ora avete in mano, parla della storia di uno di loro, una storia di resistenza attiva ma non armata, che vinse sul nazionalsocialismo e la malvagità dei loro attori. L'Editore

NOTE

1. - Il New York Times scrisse: "Un numero molto, molto più alto di quello che si pensava finora. Sapevamo quanto fosse terribile la vita nei campi e nei ghetti. Ma i numeri sono incredibili". (Harmut Berghoff).

2. - "15―20 milioni uccisi o detenuti dai tedeschi o da regimi filonazisti, 30 mila impianti, 1.150 ghetti, 1.000 campi di prigionieri di guerra, 500 bordelli per soldati nazisti, oltre a siti eufemisticamente definiti di cura dove donne ebree erano costrette ad abortire o i loro neonati erano uccisi al momento del parto. [...] Solo a Berlino i ricercatori hanno documentato 3.000 campi e cosiddette case di ebrei, mentre Amburgo aveva 1.300 siti [...] Il sistema di imprigionamento usato dai nazisti era metodico ma imprevedibile: un individuo poteva passare attraverso una mezza dozzina di campi di lavoro, fabbriche o prigioni mentre altri erano spediti direttamente dai ghetti agli orrori di Treblinka o Sobibor. “Ma i siti dell'Olocausto erano ovunque, e non si può più pensare adesso che un tedesco dell'epoca fosse ignaro di quanto stava succedendo”, ha commentato Martin Dean, uno dei coautori della ricerca."

(www.tgcom24.mediaset.it/mondo/articoli/1084526/shoah-studio-choc-i-campi-nazisti-eranoil-doppio-di-quanto-si-e-sempre-creduto.shtml).

3. - Emanuela Zuccalà: Sopravvissuta ad Auschwitz. Liliana Segre fra le ultime testimoni della Shoah, di Emanuela Zuccalà, Paoline Editoriale, Milano 2005, ISBN 9788831527699

4. - Tratto dal suo libro "Arbeit macht tot—Eine Jugend in Auschwitz" (Il lavoro uccide — Gioventù ad Auschwitz)" Tibor Wohl 1990.

5. - Adolf Hitler al Ministro degli Interni Wilhelm Frick annunciando il suo proposito per i testimoni di Geova, ottobre 1933, riportato dallo storico italiano Claudio Vercelli nel suo libro Triangoli viola, 2011, p. 57.

INDICE

Prologo all’Edizione italiana

1 Prefazione originale

2
Introduzione

3
Campo penale di Rollwald: Gennaio 1941 - 24 marzo 1945
3.1 Vitto e alloggio
3.2
Capi d’accusa
3.3
Atmosfera del campo
3.4
Incontrato il parroco Johann List
3.5 Assegnazione di lavori

4 Condannata l’”obiezione di coscienza al servizio militare”
4.1 Condanna inflitta il 29 maggio 1940 a cinque anni di prigionia
4.2 Prigione della Gestapo di Graz: Aprile 1940 - Maggio 1940
4.3 Prigione di Karlau, Graz: Giugno 1940 - Autunno 1940
4.4 Consultato un docente dell’università di Graz
4.5 Dure condanne per obiettori di coscienza
al servizio militare nel periodo anteguerra
4.6 Sviluppi religiosi nella famiglia Wohlfahrt
4.7 Rivoluzione del 1938
4.8 Pene giudiziarie per obiettori di coscienza al servizio militare nella II guerra mondiale

5 Eventi orientativi
5.1In casa Wohlfahrt
5.2
Condannati per obiezione di coscienza al servizio militare
5.2.1
Gregor Wohlfahrt padre
5.2.2 Gregor Wohlfahrt figlio
5.2.3 Franz Wohlfahrt figlio
5.3 Lutto e dolore nella famiglia Wohlfahrt
5.4 Campo di lavoro di Dietersdorf: Febbraio 1940 - Marzo 1940
5.5 Senza compromessi
5.6 Prigione di Fürstenfeld


6
Separati dalla famiglia
6.1 Sorella Ida Wohlfahrt
6.2 Fratelli Willibald e Kristian Wohlfahrt
6.3 Sorella Anna Wohlfahrt
6.4
Zio Franz Wohlfahrt, sua moglie Anna, i loro figli Maria, Anton, Emil e Franz
6.5
Zia Maria e zio Hermann Bürger
6.6
Vicina di casa Maria Stossier divenuta moglie di Franz Wohlfahrt
6.7
Aiuto e solidarietà nel campo di Rollwald
6.7.1
Reclutamento fine 1943
6.7.2
Rafforzati e confortati da fonte inattesa
6.8
Fine della II guerra mondiale
6.9
Liberazione del campo di Rollwald il 24 marzo 1945
6.10 Ritorno a casa lungamente atteso


7
Separati dagli amici
7.1 Anton e Franz Dorner
7.2 Anton Platzer
7.3 Leonhart Rutter, Max Rutter, sua moglie e Franz Samonig
7.4 Anton Uran
7.5
Hans Stossier
7.6 Matthäus Pibal
7.7 Consuntivo
7.8 Dopoguerra
7.9 Emigrati in Canada nel 1951


8 Appendice

Lettera aperta: Al popolo tedesco credente nella Bibbia e amante di Cristo!

9 Albero genealogico della famiglia Wohlfahrt
10 Bibliografia
11 Appendice dell’Editore Italiano
12 “Fascismo o Liberta” (1939)
13 The New York Times
14 Christine E. King
15 Le vittime

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ANTON URAN: perseguitato - dimenticato - giustiziato "per amore della giustizia" dal regime Nazista


ANTON URAN
perseguitato - dimenticato - giustiziatoper amore della giustizia" dal regime Nazista


A.Uran 430
Formato 15 x 21 - pag. 224 - €. 8,00

PREFAZIONE

In Austria, più di mezzo secolo dopo la fine della II Guerra Mondiale, tutte le vittime dell’ingiusto sistema giudiziario nazista sono state riabilitate con la nuova legge abrogativa e riabilitativa del 2009. Dopo accanite discussioni i partiti ÖVP [Partito popolare austriaco], SPÖ [Partito socialdemocratico austriaco] e i Verdi hanno concordato un disegno di legge, che a 70 anni dall’inizio della guerra ha messo fine alla lunga contesa su quest’ultimo capitolo di epurazione politica del passato.
Il dibattito conclusivo nel plenum del Consiglio na-zionale si è svolto in un’atmosfera quieta, aperta e positiva. L’intesa politica era stata preceduta da anni di tiro alla fune, al cui inizio si trovò, fra le altre, un’iniziativa che fu pubblicata tramite l’Archivio del Movimento Operaio Carinziano. Nella prima metà del 1997 furono abrogate le condanne inflitte dal Tribunale militare del Reich a Franz Jägerstätter, dell’Austria Superiore, e ad Anton Uran, legnaiolo della Carinzia, a 54 anni dall’esecuzione della sentenza capitale eseguita a Brandenburg-Görden. I due austriaci furono così riabilitati e i loro destini furono fatti conoscere tramite pubblicazioni.
L’abrogazione di una sentenza indica che non fu colpa delle vittime aver perso anni della loro vita per aver sostenuto i loro valori religiosi o politici. Una riabilitazione o abrogazione di una sentenza è l’ammissione pubblica e ufficiale dello Stato di diritto, un atto non solo legale, ma anche in grande misura morale, poiché restituisce all’individuo l’onore e l’integrità in modo ufficiale. Questi compianti oppositori al regime, fra i quali numerosi operai, sono stati etichettati per molti anni come “galeotti dei campi di concentramento”, o “avanzi di galera”, o persone “responsabili di qualche reato per il quale sono finiti là dentro”.
Diventa sempre più evidente che le sentenze dello stato nazista furono pronunciate “In nome del popolo tedesco!” e che negli atti dei dispositivi fu adoperata la formula che il tribunale avesse “ritenuto che ciò era giusto dopo un dibattimento verbale”. Le condanne a morte contennero inoltre “la perdita perenne dei diritti civili”, nonché la formula “disonorato per sempre!”. Le riabilitazioni contengono dunque anche il pubblico riconoscimento dell’iniquità delle sentenze stigmatizzanti.
Il giovane operaio di Techelsberg Anton Uran, al quale è dedicato questo libro, era ritenuto diligente, altruista, legato al luogo d’origine e credente. Si professava membro della comunità religiosa dei Testimoni di Geova. Anche chi non ci si volesse identificare religiosamente, deve restare profondamente colpito dal valore e dall’onestà della sua resistenza a Hitler. Dai loro giudici furono spesso definiti in tono oltraggioso “elementi scadenti”, meritevoli soltanto della morte. La ricerca storica sulla persecuzione dei Testimoni di Geova e la loro collocazione nella generale epurazione del passato di quella disgraziata epoca contribuiscono a smantellare i pregiudizi contro questi "diversi”, che svolsero un ruolo anche da perseguitati dal regime nazista. A questo proposito appaiono significativi i messaggi lasciati da due capi di stato austriaci che si sono espressi a livello ufficiale in termini molto espliciti e non solo in epoca recente.
Il Dr. Thomas Klestil richiese nel 2003 “un onesto confronto con tutti i capitoli storici della propria nazione e del proprio popolo, anche con quelli più oscuri”, essendo questo “un compito irrinunciabile di ogni nazione democratica, poiché riduce il pericolo che ricompaiano le catastrofi del passato sia nel tempo presente che in quello futuro”. Il Dr. Heinz Fischer, nel 1997 presidente del Consiglio nazionale e autore della prefazione della prima edizione di questo libro, formulò con lungimiranza: “La verità non si lascia in ogni caso soffocare per molto tempo. Anche se regimi totalitari sono (o erano) in grado d’impedire che la verità venisse alla luce, tanto più inarrestabile è poi il suo percorso”.
Il lungo e penoso confronto pieno di secondi fini tattici, avvenuto sulle ultime conseguenze legali del sistema nazista in Austria certamente non è quanto era dovuto alle sue vittime e ai loro parenti. Un dignitoso accostamento al passato, fatto con un onesto esame, volto a riparare per lo meno moralmente il torto fatto alle vittime del sistema giudiziario nazista, ai fini dell’integrità verso la propria nazione e con un onesto obiettivo culturale politico, dovrebbe essere scontato.


Per l’Istituto Storico del Movimento Operaio Carinziano
Prof. Vinzenz Jobst Docente universitario straordinario
Amministratore commerciale Prof. Johannes Grabmayer



INTRODUZIONE

“L’ingiustizia fatta a un singolo è una minaccia per tutti!” Questo aforisma fu coniato più di 200 anni fa dal barone Charles de Montesquieu, e proprio questo ragionamento sta alla base degli sforzi per abrogare la condanna inflitta dal tribunale militare nazista al legnaiolo di Techelsberg Anton Uran.

La popolazione austriaca ha riguadagnato, dopo la sua liberazione ottenuta l’8 maggio 1945, una radiosa ricchezza chiamata democrazia, la libertà soggettiva e collettiva, dopo i sette anni in cui il regime criminale nazista ebbe tenuto in ostaggio la società e lo stato. Centinaia di migliaia di cittadini e cittadine pagarono con la vita e la salute gli errori politici. Fu certamente la più sentita convinzione della generazione della guerra a volere riconquistare la libertà di uno stato indipendente, quando le forze di liberazione suddivisero l’Austria in quattro settori.

Davanti a questo sfondo il destino dell’operaio di Techelsberg Anton Uran può apparire semplice e privo d’importanza. Nel 1993, a 50 anni dalla sua esecuzione capitale avvenuta a Brandenburg-Görden, si è potuto a stento trovare tracce della sua esistenza. Un paio di foto lo ritraggono fra i suoi familiari; alcune lettere; un’iscrizione sul monumento ai caduti a San Martin di Techelsberg; le iscrizioni nel registro di stato civile e nel registro di battesimo.

Chi fu Anton Uran? Un giovane uomo amabile, zelante e degno di compassione, che fu ucciso perché credette fermamente che non è lecito usare violenza per opprimere o perfino uccidere il prossimo.

Chi conobbe Anton Uran? I genitori e i fratelli più intimamente. Certamente i suoi amici di gioventù e i fratelli di fede. Ma dopo tre anni di persecuzione morì in modo anonimo, ucciso da un regime che disprezzava l’umanità e che non lasciava spazio a prese di coscienza personali e umanitarie.

La storia ha passato sotto silenzio l’operaio Anton Uran e le sue opere non han lasciato tracce. Fu semplicemente dimenticato. Quei pochi che dubitarono dell’in-giustizia, vollero dapprima dare aiuto, ma furono respinti. In seguito ci si volle risparmiare dei fastidi. Ma non si può permettere che questo destino, toccato in sorte anche a molti altri in Austria, finisca per perdersi. Da libri, documenti, foto, dichiarazioni di testimoni viventi si può evincere ciò che si cela dietro a numeri di anni, nomi di persone coinvolte, sentenze e processi. Solamente in pochi casi trattati dalla Chiesa Cattolica per un’estrema necessità di correzione storica, come evidenziano quello del padre dei pallottini1 Franz Reinisch (1991) e quello del chierico Franz Jägerstätter (1997), si è avuto un modesto successo con l’abrogazione della loro sentenza dapprima nella Repubblica Federale Tedesca.

La riabilitazione del legnaiolo carinziano Anton Uran (pure del 1997) è avvenuta nel tribunale provinciale di Vienna e ha da allora accompagnato in modo efficace il dibattito giuridico-politico in questo settore.

In molti paesi europei e oltremare gli storici hanno trattato la storia più recente. Fatti storicamente provati sull’aggressiva dinamica del fascismo e specialmente del nazismo, la verità sull’Olocausto, i campi di concentramento e l’oppressione di dissidenti non possono essere più contestati. Il trattamento di esseri umani come fossero bestie, finalizzato al loro annientamento, come a Birkenau, Majdanek o Treblinka, o lo sfruttamento di esseri umani come “animali da lavoro”, privo del benché minimo rispetto del loro diritto di esistere, come a Dachau, Buchenwald, Mauthausen o nel campo secondario di Loiblpaß in Carinzia, questi crimini commessi tra il 1938 e il 1945 nella società mitteleuropea2 non sono accaduti spontaneamente, ma scaturiti piuttosto da decisioni politiche pervertite. Tuttavia: Il regime hitleriano aveva nemici politici sia in Austria che in Germania, come pure nei movimenti di resistenza dei paesi invasi. I campi di concentramento furono allestiti sia per gli uni che per gli altri per poter governare in una forma di “dominio arbitrario sovrano”.

Il predominio del regime si basava sulla rapina pseudo legale che esercitava sulla popolazione un misto di fascino e oppressione. La disubbidienza del singolo individuo all’abuso totalitario che argomentava con sangue e territorio, popolo e patria, quali enormi contraddizioni operavano nell’intimo di Anton Uran quando decise di obiettare al servizio militare del regime nazista? Si oppose in tutti i tre anni di persecuzione ad uno stato in apparenza legittimo, ad un’amministrazione in apparenza legittima, ad un sistema giudiziario in apparenza legittimo, isolato e senza sostegno morale alla sua convinzione, che oggi sappiamo essere stata giusta. È un fatto provato che all’interno della Germania e dell’Austria la maggioranza di coloro che vissero quell’epoca, non avevano cognizione dell’Olocausto, poiché la maggior parte dei crimini dello stato nazista avvenivano schermati dalle barriere di filo spinato dei campi di concentramento e di annientamento o in località lontane dei territori orientali occupati o anche perché queste azioni criminali recavano normalmente il timbro di “segreto di stato”.

I responsabili e i loro assistenti, ai fini della copertura delle loro attività, si servivano di una speciale nomenclatura, ed è significativo a questo riguardo che a quel tempo anche testimoni oculari non coinvolti, o testimoni auricolari, erano terrorizzati al pensiero di rivelare ad altri questa scomoda conoscenza, temendo di dover essere chiamati a render conto per presunta diffamazione, o disfattismo delle forze armate o per qualche altro pretesto. La prospettiva di finire internati in un campo di concentramento era sempre incombente.

Proprio il concetto di “KZ” [campo di concentramento ? N.d.T] dopo l’annessione dell’Austria avvenuta nel 1938 trovò uso quotidiano nella lingua. Ogni famiglia ne ebbe conoscenza, per quanto incompleta, ma intuì che dietro il filo spinato avvenivano cose spaventose. Lo stato faceva leva sulla collettiva intimidazione per scoraggiare una resistenza. Con costernazione si è venuti a sapere che il regime nazista nell’arco di soli pochi anni, introdotto, guidato e controllato dall’alto, promuoveva in modo sempre più celere e privo di scrupoli la diffamazione, la privazione dei diritti e la persecuzione degli ebrei e di altri gruppi, definiti in modo preciso da parte politica, fino al loro annientamento fisico. Anton Uran come membro dei Testimoni di Geova fu perseguitato dal regime nazista in questo contesto e fu messo a morte mediante una giurisdizione apparentemente legittima.

La popolazione di Techelsberg, dopo la liberazione dell’Austria, ha immortalato senza indugio i nomi di tutte le vittime di questa orrenda guerra nell’iscrizione del monumento di pietra ai caduti: “Viandante, che qui davanti passi, ricordati di noi che siamo caduti nella guerra mondiale per la patria – dedicato dal comune di Techelsberg ai suoi figli eroicamente caduti”. Senza distinzione di rango, funzione o tipo di morte un nome accanto all’altro. Troppi. Per coloro che sopravvissero non faceva differenza da quale parte o su quale fronte si fossero trovati a combattere fratelli, amici e conoscenti o se fossero stati uccisi come membri della resistenza dal regime d’ingiustizia. Le famiglie piansero i loro congiunti non tornati più a casa, si percepì la loro privazione.
Il docente ordinario di diritto dell’università di Linz, Prof. Dr. Reinhard Moos, in varie pubbliche repliche ha analizzato sul “caso Jägerstätter” che il comportamento di quelli che, “nonostante l’incombente minaccia di morte e perdita di reputazione (trovarono) il coraggio di servire in modo migliore gli interessi della patria nella resistenza, nuotando contro corrente, era più valoroso del coraggio dei soldati che dettero la loro vita per la guerra. Entrambi i gruppi furono vittime del regime nazista e a loro modo eroi morti inutilmente e parimenti degni di essere ricordati nei monumenti ai caduti…” Nel ricordare i loro caduti e dispersi i cittadini di Techelsberg hanno usato sano intelletto.

Questo monumento, eretto sotto il peso emotivo della guerra mondiale appena cessata, trasmette ai vivi la memoria dei caduti e dei dispersi e il compito d’indica-re ai figli e ai figli dei figli la via per una società libera dalla violenza.

Durante i tre anni di continue ricerche l’autore di questo libro non sempre scoprì nel contesto comunale e nella famiglia Uran delle notizie chiare ed estese oltre le generazioni. Piuttosto, gli eventi bellici sono offuscati da un clima di reticenza, evidentemente non solo a Techelsberg e non solo nella famiglia Uran. Sconcertato, nel porre domande l’Autore scopre che le persone coinvolte, trovate ancora in vita, tengono sotto silenzio questo difficile tempo della loro vita, senza poterlo dimenticare. Il silenzio fu praticato quotidianamente dalle famiglie della resistenza, ben sapendo che parlare poteva significare anche pericolo, vale a dire, quando la scomodità d’essere informati della resistenza politica avrebbe potuto compromettere la sopravvivenza in una situazione critica.

Questo silenzio protettivo dovette essere sopportato come i soldati lo dovettero sopportare per altri motivi. Sulla violazione del silenzio incombeva mille volte l’annientamento della vita. Nella maggioranza dei casi il singolo individuo non lo poteva più rompere e lo trasmetteva alla generazione dei figli e dei nipoti.

Questa tesi è stata avvalorata in modo impressionante dal contegno verbale di Anton Uran nei diversi stadi della sua persecuzione e dalla reticenza dei suoi familiari, perlomeno fino al momento della sua riabilitazione.

L’austriaco di nascita Adolf Hitler poteva sbraitare, ma non parlare e comunicare. Gridava addosso alle persone, le calpestava e le umiliava gridando. Il culto del Führer standardizzò questo atteggiamento per l’intera alta gerarchia nazista. Chi vuol imparare con buonsenso da questa epoca, deve anche imparare a parlarne. Poiché parlare con noi stessi e di noi stessi, parlare con altri, anche lo scambio di parole controverse ci fa vedere la dimensione dell’essere umano. La presente opera “Anton Uran – perseguitato – dimenticato – giustiziato” fu concepita inizialmente come un libro di facile lettura. Perciò gli manca il supporto scientifico, a dispetto di una bibliografia selezionata e di fonti citate con accuratezza, nell’intento di approfondire l’aspetto scientifico di questo tema. La traduzione di tutte le 16 lettere di Anton Uran e del testo essenziale della prima stesura nella lingua inglese ha avuto l’obiettivo di rendere accessibile il libro ai numerosi Testimoni di Geova del Canada e degli USA e di promuovere il suo inserimento nel catalogo della Biblioteca del Museo dell’Olocausto di Washington.

La trattazione della biografia di Anton Uran dal 1996 in poi ha lasciato sempre aperte nuove possibilità e conoscenze, offrendo una rappresentazione del caso che riconduce il lettore di oggi agli anni ’30 e ’40 del 20o secolo, lasciandogli anche l’opportunità di partecipare all’attuale giurisprudenza e dibattito politico. Da allora divenne rilevante non solo il problema inerente la riabilitazione delle vittime austriache del nazismo, ma anche, tra l’altro, rese urgente il dibattito sul riconoscimento giuridico della comunità dei Testimoni di Geova. Il loro contributo alla realizzazione di un quadro veritiero della resistenza e della persecuzione avvenute in Austria è travolgente. Essi indicarono percorsi orientativi affinché le “vittime dimenticate” potessero tornare, dopo molti anni dagli eventi accaduti, dignitosamente nella memoria collettiva della nostra società. Si sono aggiunte molte iniziative personali e istituzionali volte alla formazione di importanti fondamenti della cultura politica, della rappresentazione della storia contemporanea e della cultura della memoria. La genesi di questo lavoro guidato da impulsi umanitari si rispecchia in modo impressionante nell’appendice scientifica di questo libro coi contributi apportati dal giurista Reinhard Moos, menzionato sopra, sulla legge del riconoscimento e della riabilitazione.


NOTE

1. - [Membro della Società dell’apostolato cattolico, istituto di preti secolari fondato nel 1835 dal beato Vincenzo Pallotti, nato e vissuto a Roma (1795-1850). (Treccani). ? N.d.T.].

2.- [Da mittel «medio, di mezzo» e Europa. – Mitteleuropa, denominazione entrata nel linguaggio politico-economico europeo verso la metà del sec. 19° per indicare la parte centrale dell’Europa, costituita in prevalenza da paesi di stirpe tedesca, con limiti geografici che vanno dai mari del Nord e Baltico fino all’Adriatico e al Bacino danubiano (Treccani). ? N.d.T.].

INDICE

Indice
Prefazione originale
Introduzione
Vita di paese a Techelsberg

Popolazione
La scuola di San Martin di Techelsberg
Politicizzazione della vita quotidiana
Appartenenza al luogo d’origine
La famiglia Uran

Disubbidienza civile
Nazionalsocialismo in Carinzia
Obiezione di coscienza al servizio militare
Il tribunale militare del Reich
Esecuzione capitale a Brandenburg-Görden
50 anni dopo – Riabilitazione
16 lettere dal tempo della persecuzione

Appendice scientifica
Reinhard Moos: La legge di riconoscimento del 2005 e l’epurazione del passato del sistema giudiziario militare nazista in Austria
Reinhard Moos: La legge abrogativa e riabilitativa del 2009
Documenti
Fonti/Letteratura
Foto/L’autore
Postfazione

Abbiamo inoltre tradotto e inserito nel libro, un opuscolo dell'unica voce fuori dal coro, che condannava l'isteria bellica del Nazi-Fascismo scritto da J. F. Rutherford nel 1940 dal titolo: "LA FINE DEL NAZISMO"

Opusc.Fine Nazismo

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